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lunedì 21 ottobre 2019

Incipit: The Sinner. La Peccatrice

Buon pomeriggio lettori! Per mitigare il lunedì che è sempre un po' tragico, mi diverto a lasciare incipit di libri letti o in lettura. Quest'oggi trovate The Sinner di Petra Hammesfahr, un thriller psicologico da cui è stata pure tratta, guarda un po' che novità, la serie tv omonima e mi pare antologica che non ho ancora visto ma iniziato. Mercoledì, come spesso capita v.v troverete la mia recensione. Intanto godetevi questa prima parte del primo capitolo che è abbastanza lungo.

1

Era una calda giornata d’inizio luglio quando Cora Bender decise di morire. 

La notte prima aveva fatto sesso con Gereon. Accadeva regolarmente ogni venerdì e sabato sera. Non ce la faceva a respingerlo, sapeva fin troppo bene quanto lui ne avesse bisogno. E poi lo amava. Anzi, il suo era molto più che amore. Era gratitudine, devozione incondizionata, qualcosa di assoluto.
Gereon le aveva permesso di essere come tutte le altre, una ragazza normale. Per questo voleva che fosse felice e soddisfatto. Un tempo le piacevano le sue effusioni, ma da sei mesi a questa parte non più.
Proprio la vigilia di Natale Gereon aveva portato una radio in camera. Doveva essere una notte speciale. Era la vigilia e loro erano sposati da due anni e mezzo e con un figlio di diciotto mesi.
Gereon aveva ventisette anni, Cora ventiquattro. Lui era alto, sul metro e ottanta, e aveva un fisico slanciato e atletico, pur non praticando sport, non ne aveva il tempo. I suoi capelli erano biondi, appena un po’ più scuri di come li aveva da bambino. Il viso non era né bello né brutto, nella media, ma in fondo Gereon Bender era un uomo medio.
Anche Cora aveva un aspetto piuttosto ordinario, tranne che per una brutta cicatrice sulla fronte e dei segni nell’incavo delle braccia. La prima era il risultato di un incidente, mentre gli altri erano riconducibili a una grave infiammazione cutanea provocata da alcune iniezioni fatte in ospedale. Questa, almeno, era la versione che aveva dato a Gereon. Gli aveva detto di non ricordare i dettagli, ed era vero. Secondo il medico che l’aveva curata le amnesie erano un fenomeno frequente nei casi di brutte ferite alla testa.
C’era una lacuna nella sua vita. Lì si celava un torbido capitolo oscuro, ne era consapevole, ma non riusciva a metterlo a fuoco. In passato, notte dopo notte, ci si era imbattuta innumerevoli volte. L’ultima risaliva a quattro anni prima. Poi aveva conosciuto Gereon e aveva creduto di averla finalmente colmata. Non pensava di venirne risucchiata, una volta sposata con lui. E invece, proprio la vigilia di Natale, successe ancora.
All’inizio andò tutto bene, musica natalizia di sottofondo e le effusioni di Gereon che si facevano più insistenti e appassionate. Lui scivolò giù lentamente, ma a quel punto diventò sgradevole. E non appena le mise la testa fra le gambe e lei avvertì la sua lingua, il volume della musica aumentò. Cora sentiva i colpi impetuosi di una batteria, un basso e le note acute, stridule di un organo. Durò un istante, ma fu più che sufficiente. Qualcosa in lei si spezzò, o si schiuse violentemente, come una cassaforte forzata. Era una sensazione irreale. Come se non fosse più nel suo letto. Sentiva la schiena su un fondo duro e qualcosa in bocca, come se un pollice le premesse in fondo alla lingua provocandole un tremendo conato di vomito.
La ribellione fu solo un riflesso incondizionato. Gli cinse la nuca con le ginocchia premendogli le cosce intorno alla gola. Ancora un po’ e gli avrebbe spezzato il collo, o lo avrebbe strangolato. Non se ne accorse nemmeno, tanto era lontana in quel momento. Tornò in sé solo quando lui, ansimando e
rantolando, le strinse il fianco affondando le unghie nella carne.
Respirava a fatica. «Ma sei impazzita? Che diavolo ti prende?» Si massaggiava la nuca, tossiva, e mentre si tastava la gola fissava Cora scuotendo la testa.
Gereon non capiva perché avesse reagito in quel modo e neanche lei sapeva spiegarsi cosa d’un tratto  le fosse sembrato tanto ripugnante e disgustoso. Così terribile da aver creduto di essere sfiorata dalla lingua della morte.
«Non mi piace» disse chiedendosi cosa avesse sentito. La musica era ancora accesa, volume basso, ritmo lento. Un coro di bambini cantava: «Astro del ciel, pargol divin, mite agnello redentor...». Che altro si poteva ascoltare la vigilia di Natale?
A Gereon nel frattempo era passata la voglia. Spense la radio e la luce, e si tirò su la coperta fino al collo. Non le augurò nemmeno la buonanotte, borbottò soltanto: «Allora lasciamo perdere!».
Lui si assopì subito. Più tardi non sarebbe stata in grado di dire se anche lei si fosse addormentata. A un certo punto si ritrovò seduta sul letto che sferrava pugni in aria urlando: «Basta! Finitela! Lasciatemi stare! Smettetela, porci!». E intanto le martellavano in testa i colpi sfrenati della batteria, il basso e le note stridule dell’organo.
Gereon si svegliò, e afferrandole le mani la scosse gridando: «Cora! Calmati! Che cazzo succede?». Lei non riusciva a smettere né a svegliarsi. Se ne stava seduta al buio a lottare disperata contro qualcosa che incombeva inesorabile su di lei, qualcosa di cui sapeva soltanto che la mandava fuori di testa.
Solo dopo aver ricevuto degli schiaffetti sulle guance tornò finalmente in sé. Gereon voleva sapere cosa le stesse succedendo. Se fosse stato lui a farle qualcosa. Sul momento Cora non aveva ancora le idee abbastanza chiare per potergli rispondere e si limitò a fissarlo. Qualche istante dopo lui tornò a
sdraiarsi. Lei fece lo stesso, e girandosi su un fianco provò a convincersi che si fosse trattato di un incubo come tanti.
Ma la notte seguente, quando Gereon volle riprendere da dove si erano interrotti, le capitò di nuovo. Eppure quella volta non c’era la radio in camera e lui non aveva neanche provato a fare ciò che considerava come la massima espressione del suo amore per lei. Prima arrivò la musica, il volume un po’ più alto e una canzone un po’ più lunga, abbastanza da capire di non averla mai sentita. Poi ricadde nel buco nero da cui sobbalzò sferrando colpi nel vuoto. Non si svegliò. Ci riuscì solo dopo che Gereon la scosse con degli schiaffi sulle guance e chiamandola per nome.
Nella prima settimana di gennaio successe due volte, nella seconda una: un venerdì in cui Gereon era molto stanco. O almeno, questo fu ciò che disse. Il sabato invece commentò: «Sono stufo di questo casino». Forse la stanchezza del venerdì era dettata dallo stesso motivo.
A marzo decise di farla visitare da un medico. «Non è normale, ammettilo. Dobbiamo pur fare qualcosa, o preferisci continuare così per sempre? In tal caso, però, vado a dormire sul divano.»
Cora non consultò nessun dottore. Di sicuro le avrebbe chiesto se sapeva spiegarsi quello strano incubo ricorrente o perché, secondo lei, si ripetesse solo quando faceva sesso con suo marito. Un medico probabilmente avrebbe cominciato a scandagliare quella famosa lacuna, l’avrebbe persuasa a sviluppare la propria consapevolezza. Non avrebbe capito che c’erano cose troppo raccapriccianti per volerne prendere coscienza. Provò con una farmacia, dove le consigliarono un blando sonnifero. Se non altro riuscì a non urlare e sferrare pugni nel vuoto, e Gereon pensò che fosse tornato tutto a posto. Ma non era così.


Buona lettura!

2 commenti :

  1. Ho letto questo libro un po' di tempo fa, ma lo ricordo ancora perfettamente. Un bellissimo romanzo psicologico, molto particolare, crudo e spiazzante.
    La serie tv è davvero mediocre, se paragonata al libro.

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    1. sei la prima che mi dice questa cosa sul confronto serie tv libro! :)

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