lunedì 14 ottobre 2019

Incipit: Niente è come te

Buon pomeriggio lettori! Oggi vi voglio lasciare l'incipit di un libro di Sara Rattaro, il primo suo che ho letto. Una storia meravigliosa e potente che mi ha dato molto da riflettere, aprendomi gli occhi su alcune situazione che spesso passano in sordina. In settimana pubblicherò la recensione. Fatemi sapere se questo incipit ha smosso qualcosa anche a voi...

Ci sono quelli che sanno sempre come fare, quelli che l'amore te lo descrivono nei minimi dettagli e per questo hanno smesso di cercarlo, gli sputasentenze e i campioni di moralità, i ladri di emozioni e chi sa come si violenta un sentimento. Poi ci sono le persone che sanno darti tutto, o almeno così fanno ti credere, finché un giorno quel tutto se lo portano via e tu ti accorgi che ti hanno sottratto molto di più, anche quello che ti apparteneva: il tuo inviolabile diritto di essere padre. Poi però ci siamo noi che di tempo insieme ne abbiamo trascorso poco, che i ricordi li possiamo solo immaginare, e l'idea di rivederci ci spaventa a morte. Ma siamo tu e io, Margherita e Francesco, a respirare gli stessi dubbi. Mi chiedo se mi assomigli un po', e in cosa. Se anche tu ti mordi le labbra quando pensi, se hai il vizio di giocare con il telecomando quando guardi la TV e detesti il minestrone a pezzi grossi. Non so se quei pochi pregi che ho te li ho regalati o se passerai la vita a combattere la mia pigrizia, se anche tu come me a volte non desidereresti null'altro che un nostro abbraccio o se neanche ti ricordi la mia faccia, se ti chiedi il perché di tanto affanno da parte mia per vederti anche solo un minuto o se rappresento solo una scocciatura tra la scuola e i giochi. Non lo so, e brancolare nel buio non è mai una bella sensazione. Ma di una cosa sono convinto: sarà grazie a ognuno di questi singoli minuti che un giorno capirai che niente, ma proprio niente, è come te, Margherita.

MARGHERITA
Quando l'aereo ha toccato terra è stato come ricevere una frustata su una ferita aperta. L'uomo seduto accanto a me sembrava tranquillo. Mi ha fatto qualche domanda appena siamo saliti, ma poi ha desistito e si è voltato a fissare il vuoto. Credo di essermi addormentata. La notte precedente non avevo chiuso occhio. Continuavo a pensare al maglione che mamma mi aveva prestato. Il suo preferito. Era morbidissimo e teneva caldo. Un giorno le avevo chiesto di metterlo per una festa a scuola, ma quando, qualche tempo dopo, me lo aveva richiesto indietro, io non ero riuscita a ricordare dove lo avessi lasciato. Si era infuriata e aveva iniziato ad alzare la voce, a diventare tutta rossa.

«Non dirmi che l'hai dimenticato a scuola!» E poi un sacco di altre frasi che però non riuscivo più a ricordare.

Come ieri notte mi sono alzata dal letto e ho aperto l'armadio. Il maglione era lì. Ingrid l'aveva piegato con cura e messo via. L'ho afferrato e sono andata in sala dove la mia baby-sitter dormiva quando c'era qualche emergenza per cui mamma non poteva stare a casa con me.
«Ingrid, svegliati!»
«Cosa succede?»
«Voglio che mamma metta questo per il funerale, così saprà che non l'ho perso.»
«O tesoro! Lei preferirebbe che lo tenessi tu, non credi?»
Io ho annuito. Mi ha fatto posto vicino a lei, e stringendo il profumo di mamma ho preso sonno.
«Margherita, dobbiamo scendere.»
Scendere? Improvvisamente non sapevo più dove fossi e nemmeno chi era quell'uomo che mi stava chiamando. Lui ha allungato una mano sul mio braccio. Non mi deve toccare. Non voglio che mi tocchi. E mi sono sentita rabbrividire. «Non voglio scendere!» Mi afferravo al sedile e alla cintura ancora allacciata. «Margherita, siamo arrivati a casa, dobbiamo andare»
«Questa non è casa mia. Io voglio tornare a Viborg!»
L'uomo che mi parlava sembrava aver perso la calma. Si era alzato di scatto, aveva buttato la borsa sul sedile e mi guardava dall'alto mentre gli altri passeggeri gli passavano alle spalle. Siamo rimasti a fissarci negli occhi per un breve istante. Era nervoso, e tutto rosso in volto.
Apriva la bocca per poi richiuderla senza dire nulla, si passava la mano sugli occhi, tra i capelli.
Poco dopo ha spostato la borsa per terra e si è seduto accanto a me. Forse più calmo.
«Margherita, ascoltami, è importante. Siamo arrivati in Italia, a casa. Questo è il posto in cui vivremo insieme.»
Mi sono voltata di scatto e ho iniziato a strillare: «No, no, no... io non voglio venire con te!». E mentre il suo volto si faceva sempre più pallido, ho visto avvicinarsi una hostess.
«Va tutto bene, signore? Dovete lasciare l'aereo. Stanno per salire gli addetti alle pulizie.»
«Certo che va tutto bene!» ha gridato lui senza nemmeno guardarla.
«Non voglio scendere. Io devo tornare da Ingrid!» ho urlato.
«Signore, questa ragazza è sua figlia?» «Certo che è mia figlia!» ha urlato. «Perché me lo chiede?» La donna ha fatto qualche passo in avanti fissandomi spaventata. «Come si chiama?»
«Margherita. Si chiama Margherita ed è mia figlia!»
I suoi occhi passavano da me a lui come se guardasse una partita di tennis. Sembrava in cerca di qualcosa. Forse una somiglianza.
«Margherita?» mi ha chiamata. «Questo signore è tuo padre?»
Ho alzato gli occhi verso di lei e sono scoppiata in lacrime.
«Io voglio la mamma.»
L'uomo si è portato le mani alla testa e si è accasciato sul sedile come se gli avessero sparato.


Buona lettura!

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