Buon pomeriggio
lettori! E Buon autunno! Siete pronti a tirare fuori i plaid e le tazze di tisane/tè caldi? Questo lunedì ho deciso di condividere con voi l'incipit di Pet Sematary di Stephen King che ho oramai terminato di leggere e che posso affermare che col film non c'entra quasi nulla. Ma ve ne parlerò meglio mercoledì con la recensione dedicata. Nel frattempo per chi fosse incuriosito ecco il primo capitolo. :)
1
Louis Creed, che aveva perso il padre a tre anni e non aveva mai conosciuto i nonni, non si aspettava di trovare un padre quand'era ormai alle soglie della mezza età, eppure andò proprio così... sebbene egli chiamasse quell'uomo un amico, com'è logico che faccia un adulto quando l'incontro con l'uomo adatto a fargli da padre arriva relativamente tardi nella vita. Conobbe quell'uomo la sera in cui lui, sua moglie e i loro due bambini si trasferirono nella casa di Ludlow, una grande casa bianca dalle strutture in legno. Winston Churchill traslocò con loro. Church era il gatto della piccola Eileen.
Il comitato per le ricerche, all'università, si era mosso lentamente; trovare un alloggio che consentisse di fare il pendolare casa-ateneo era stato allucinante; quando finalmente furono in prossimità del punto dove lui era convinto che si trovasse la casa —i punti di riferimento sono tutti esatti...come i segni astrologici la notte prima dell'uccisione di Cesare, pensò morbosamente Louis —erano tutti stanchi, in tensione e con i nervi a fior di pelle. Gage stava mettendo i dentini e si lamentava quasi di continuo. Non voleva dormire, e Rachel aveva un bel cantare e ninnarlo. Arrivò perfino a offrirgli il seno, sebbene avesse ormai smesso di allattarlo. Gage, sul proprio svezzamento, la sapeva lunga quanto lei —di più, forse —e immediatamente la morsicò con i suoi dentini nuovi nuovi. Rachel, che ancora non era del tutto convinta su quel trasferimento nel Maine da Chicago, dove aveva sempre vissuto, scoppiò in pianto. Eileen, senza perdere tempo, la imitò. Nel retro della giardinetta, Church continuava ad aggirarsi, irrequieto, come aveva fatto nei tre giorni che avevano impiegato per arrivare fin lì da Chicago. I miagolii che mandava dalla sua cesta erano stati un tormento, ma quel suo incessante aggirarsi dopo che si erano arresi, alla fine, e l'avevano lasciato libero, era stato quasi altrettanto snervante.
Lo stesso Louis aveva una mezza voglia di piangere. Gli venne d'improvviso un'idea pazzesca, ma in fondo attraente: avrebbe proposto di tornare indietro fino a Bangor per mangiare qualcosa, in attesa che arrivasse il furgone con i mobili e, una volta scesi i suoi tre affetti più cari, avrebbe schiacciato l'acceleratore a tavoletta e sarebbe filato via a razzo, lasciando che il grosso carburatore della giardinetta ingurgitasse benzina super a go-go. Avrebbe fatto tutta una tirata verso sud fino a Orlando, in Florida, dove avrebbe cercato lavoro come medico a Disney World, sotto falso nome. Ma prima di imboccare l'autostrada —la vecchia e ampia 95, diretta a sud —si sarebbe fermato sul margine della carrozzabile per scaricare anche quel dannato gatto.
Aggirarono un'ultima curva e apparve la casa che soltanto lui aveva visto, fino a quel momento. Una volta ottenuta la certezza che l'incarico al-l'università del Maine era suo, era venuto lì in aereo per esaminare ciascuna delle sette possibilità che avevano preso in considerazione in base alle foto, e su quella era caduta la sua scelta: una grande e vecchia casa coloniale del New England (ma sistemata e rimodernata di recente: le spese di riscaldamento, sebbene paurose, non erano esagerate in termini di consumo), tre grandi stanze al piano terreno, altre quattro al piano superiore, una lunga tettoia che, con il tempo, poteva trasformarsi in altre stanze, il tutto circondato da un prato lussureggiante, rigogliosamente verde perfino in quel caldissimo agosto.
Dietro la casa c'era un vasto campo dove i bambini potevano giocare, e al di là del campo c'erano boschi che si stendevano quasi a perdita d'occhio. La proprietà confinava con terreni demaniali, aveva spiegato l'agente immobiliare, e non si prevedevano nuove costruzioni, almeno in un prossimo futuro. I superstiti della tribù degli indiani Micmac avevano avanzato pretese su quasi ottomila acri a Ludlow e nelle località a est di Ludlow, e la complicata vertenza, che coinvolgeva il governo federale oltre quello dello stato, poteva protrarsi fino al nuovo secolo.
Rachel smise bruscamente di piangere. Si tirò su. «È quella?» «Quella, sì», disse Louis. Era in apprensione, o per meglio dire, in ansia. Anzi, era terrorizzato. Aveva ipotecato dodici anni della loro vita per quella casa; prima che fosse del tutto pagata, Eileen avrebbe compiuto diciassette anni. Deglutì.
«Che ne dici?»
«Dico che è bella», fu il commento di Rachel, che gli tolse un gran peso dallo stomaco... e dalla mente. Lei diceva sul serio e lo si vedeva dal modo come guardava la casa mentre svoltavano nel viale asfaltato che girava tutt'attorno fino alla tettoia sul retro, passando in rassegna con gli occhi le finestre vuote, la fantasia già al lavoro su cose come le tende, le incerate per foderare gli armadietti e Dio sa cos'altro.
«Papà?» disse Ellie dal sedile dietro. Anche lei aveva smesso di piangere. Perfino Gage aveva finito di frignare. Louis assaporava quel silenzio.
«Cosa, cara?»
Incontrò gli occhi della piccola, castani sotto i capelli d'un biondo scuro, riflessi nello specchietto retrovisore. Stavano a loro volta esaminando la casa, il prato, il tetto di un'altra casa sulla sinistra, in distanza, e il grande campo che si stendeva fin dentro i boschi.
«È casa nostra?»
«Lo diventerà, tesoro», rispose lui.
«Urrà!» urlò lei, quasi sfondandogli un timpano. E Louis, che Ellie aveva a volte il potere di irritare terribilmente, capì che non gli importava affatto non posare neppure lo sguardo su Disney World, a Orlando.
Parcheggiò davanti alla tettoia e spense il motore dell'auto. Rimase solo il rombo del raffreddamento. Nel silenzio, che sembrava enorme dopo Chicago, e la congestione di State Street e del Loop, un uccello cantava dolcemente nel tardo pomeriggio.
«La nostra casa», mormorò Rachel, sempre guardandosi intorno.
«Casa», ripeté compiacente Gage, che lei teneva in grembo. Louis e Rachel si fissarono. Nello specchietto retrovisore gli occhi di Eileen si spalancarono.
«Hai...»
«Sbaglio o...»
«Ma era...»
Parlarono tutti insieme, poi risero tutti insieme. Gage non ci badò; continuava placidamente a succhiarsi il pollice. Diceva «mamma» da circa un mese, ormai, e aveva fatto uno o due tentativi di dire «paaa», o forse era solo un pio desiderio da parte di Louis.
Ma quella, vuoi per caso o per imitazione, era stata una parola intelligibile. Casa.
E quello fu il loro arrivo a Ludlow.
Louis Creed, che aveva perso il padre a tre anni e non aveva mai conosciuto i nonni, non si aspettava di trovare un padre quand'era ormai alle soglie della mezza età, eppure andò proprio così... sebbene egli chiamasse quell'uomo un amico, com'è logico che faccia un adulto quando l'incontro con l'uomo adatto a fargli da padre arriva relativamente tardi nella vita. Conobbe quell'uomo la sera in cui lui, sua moglie e i loro due bambini si trasferirono nella casa di Ludlow, una grande casa bianca dalle strutture in legno. Winston Churchill traslocò con loro. Church era il gatto della piccola Eileen.
Il comitato per le ricerche, all'università, si era mosso lentamente; trovare un alloggio che consentisse di fare il pendolare casa-ateneo era stato allucinante; quando finalmente furono in prossimità del punto dove lui era convinto che si trovasse la casa —i punti di riferimento sono tutti esatti...come i segni astrologici la notte prima dell'uccisione di Cesare, pensò morbosamente Louis —erano tutti stanchi, in tensione e con i nervi a fior di pelle. Gage stava mettendo i dentini e si lamentava quasi di continuo. Non voleva dormire, e Rachel aveva un bel cantare e ninnarlo. Arrivò perfino a offrirgli il seno, sebbene avesse ormai smesso di allattarlo. Gage, sul proprio svezzamento, la sapeva lunga quanto lei —di più, forse —e immediatamente la morsicò con i suoi dentini nuovi nuovi. Rachel, che ancora non era del tutto convinta su quel trasferimento nel Maine da Chicago, dove aveva sempre vissuto, scoppiò in pianto. Eileen, senza perdere tempo, la imitò. Nel retro della giardinetta, Church continuava ad aggirarsi, irrequieto, come aveva fatto nei tre giorni che avevano impiegato per arrivare fin lì da Chicago. I miagolii che mandava dalla sua cesta erano stati un tormento, ma quel suo incessante aggirarsi dopo che si erano arresi, alla fine, e l'avevano lasciato libero, era stato quasi altrettanto snervante.
Lo stesso Louis aveva una mezza voglia di piangere. Gli venne d'improvviso un'idea pazzesca, ma in fondo attraente: avrebbe proposto di tornare indietro fino a Bangor per mangiare qualcosa, in attesa che arrivasse il furgone con i mobili e, una volta scesi i suoi tre affetti più cari, avrebbe schiacciato l'acceleratore a tavoletta e sarebbe filato via a razzo, lasciando che il grosso carburatore della giardinetta ingurgitasse benzina super a go-go. Avrebbe fatto tutta una tirata verso sud fino a Orlando, in Florida, dove avrebbe cercato lavoro come medico a Disney World, sotto falso nome. Ma prima di imboccare l'autostrada —la vecchia e ampia 95, diretta a sud —si sarebbe fermato sul margine della carrozzabile per scaricare anche quel dannato gatto.
Aggirarono un'ultima curva e apparve la casa che soltanto lui aveva visto, fino a quel momento. Una volta ottenuta la certezza che l'incarico al-l'università del Maine era suo, era venuto lì in aereo per esaminare ciascuna delle sette possibilità che avevano preso in considerazione in base alle foto, e su quella era caduta la sua scelta: una grande e vecchia casa coloniale del New England (ma sistemata e rimodernata di recente: le spese di riscaldamento, sebbene paurose, non erano esagerate in termini di consumo), tre grandi stanze al piano terreno, altre quattro al piano superiore, una lunga tettoia che, con il tempo, poteva trasformarsi in altre stanze, il tutto circondato da un prato lussureggiante, rigogliosamente verde perfino in quel caldissimo agosto.
Dietro la casa c'era un vasto campo dove i bambini potevano giocare, e al di là del campo c'erano boschi che si stendevano quasi a perdita d'occhio. La proprietà confinava con terreni demaniali, aveva spiegato l'agente immobiliare, e non si prevedevano nuove costruzioni, almeno in un prossimo futuro. I superstiti della tribù degli indiani Micmac avevano avanzato pretese su quasi ottomila acri a Ludlow e nelle località a est di Ludlow, e la complicata vertenza, che coinvolgeva il governo federale oltre quello dello stato, poteva protrarsi fino al nuovo secolo.
Rachel smise bruscamente di piangere. Si tirò su. «È quella?» «Quella, sì», disse Louis. Era in apprensione, o per meglio dire, in ansia. Anzi, era terrorizzato. Aveva ipotecato dodici anni della loro vita per quella casa; prima che fosse del tutto pagata, Eileen avrebbe compiuto diciassette anni. Deglutì.
«Che ne dici?»
«Dico che è bella», fu il commento di Rachel, che gli tolse un gran peso dallo stomaco... e dalla mente. Lei diceva sul serio e lo si vedeva dal modo come guardava la casa mentre svoltavano nel viale asfaltato che girava tutt'attorno fino alla tettoia sul retro, passando in rassegna con gli occhi le finestre vuote, la fantasia già al lavoro su cose come le tende, le incerate per foderare gli armadietti e Dio sa cos'altro.
«Papà?» disse Ellie dal sedile dietro. Anche lei aveva smesso di piangere. Perfino Gage aveva finito di frignare. Louis assaporava quel silenzio.
«Cosa, cara?»
Incontrò gli occhi della piccola, castani sotto i capelli d'un biondo scuro, riflessi nello specchietto retrovisore. Stavano a loro volta esaminando la casa, il prato, il tetto di un'altra casa sulla sinistra, in distanza, e il grande campo che si stendeva fin dentro i boschi.
«È casa nostra?»
«Lo diventerà, tesoro», rispose lui.
«Urrà!» urlò lei, quasi sfondandogli un timpano. E Louis, che Ellie aveva a volte il potere di irritare terribilmente, capì che non gli importava affatto non posare neppure lo sguardo su Disney World, a Orlando.
Parcheggiò davanti alla tettoia e spense il motore dell'auto. Rimase solo il rombo del raffreddamento. Nel silenzio, che sembrava enorme dopo Chicago, e la congestione di State Street e del Loop, un uccello cantava dolcemente nel tardo pomeriggio.
«La nostra casa», mormorò Rachel, sempre guardandosi intorno.
«Casa», ripeté compiacente Gage, che lei teneva in grembo. Louis e Rachel si fissarono. Nello specchietto retrovisore gli occhi di Eileen si spalancarono.
«Hai...»
«Sbaglio o...»
«Ma era...»
Parlarono tutti insieme, poi risero tutti insieme. Gage non ci badò; continuava placidamente a succhiarsi il pollice. Diceva «mamma» da circa un mese, ormai, e aveva fatto uno o due tentativi di dire «paaa», o forse era solo un pio desiderio da parte di Louis.
Ma quella, vuoi per caso o per imitazione, era stata una parola intelligibile. Casa.
E quello fu il loro arrivo a Ludlow.
Buona lettura!
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